Massimo de Vita
Massimo de Vita è una figura anomala del mondo teatrale, una persona che ha seguito la sua vocazione agli incontri con le umanità più semplici, incurante dell’establishment teatrale.
Allievo di Giorgio Strehler (si è diplomato con lui nel ’57 alla Scuola del Piccolo Teatro), viene subito inserito come attore nelle produzioni del Piccolo L’anima buona di Sezuan (1959) e Coriolano (1959) e in alcuni altri Teatri Stabili (a Torino, dove lavora con De Bosio, ma soprattutto Trieste, dove lavora con Aldo Trionfo e dove Massimo firmerà anche le sue prime regie).
Neppure trentenne, si lascia alle spalle il mondo dei teatri Stabili istituzionalizzati e decide di camminare sulle sue gambe. È degli anni ’60 il sodalizio con Vittorio Franceschi, con il quale divide alcune esperienze fondamentali, dalla produzione dei primi spettacoli di satira di costume (Come siam bravi quaggiù e Resta così, o sistema solare, 1960-1961, scritto da Sandro Bajini e Vittorio Franceschi) fino alla fondazione della prima Cooperativa teatrale italiana, “Nuova Scena” di Bologna, con Dario Fo e Franca Rame, con i quali entra in compagnia. Sono anni intensi, di fervore teatrale, culturale e politico: il celebre convegno di Ivrea del 1967 lo vede fra i più irridenti e divertiti protagonisti, e dal ’68 al ’73 ha la fortuna di girare l’Italia con i Circuiti teatrali alternativi creati da Dario Fo, forse l’unica esperienza di indipendenza produttiva e di circuito, estranea ad ogni logica ministeriale. E sono anni in cui nelle piazze, nelle bocciofile, nei circoli Arci, persino nei cinema abbandonati un’umanità semplice, fatta di operai e di lavoratori, scopre finalmente che il teatro li riguarda, parla di loro e con loro.
Nel 1975 Massimo si ferma a Milano, in quel Teatro Officina che ha scoperto proprio girando con Nuova Scena nei circuiti alternativi. È incantato da questa esperienza in cui studenti e operai hanno trasformato una vecchia balera in un teatro ove si fanno spettacoli d’avanguardia, concerti dei Canzonieri popolari, cineforum, dibattiti, scuole di musica, persino matrimoni della Comunità Eritrea. Si siede in fondo alla sala e guarda questi giovani del quartiere, che fanno e disfano il mondo.
Finiti gli anni ’70 (e, per molti, riposte negli armadi le bandiere e le parole scarlatte di cui si erano nutriti), de Vita prende sulle spalle la Direzione Artistica del Teatro Officina e per tutti gli anni ’80 (quelli della “Milano da bere”) e fino ai giorni nostri lo porta in giro fra cortili di case di ringhiera, campi di riso della Lomellina, fabbriche dismesse di Sesto San Giovanni, centri di prima accoglienza per immigrati, nuove banlieue metropolitane.
Il Teatro Officina è ancor oggi il suo dolce peso, che gli ha certamente precluso la possibilità di fare del teatro un business ma gli ha forse consentito di camminare nella vita con gioia e leggerezza.
De Vita è Direttore Artistico, regista e attore del Teatro Officina con il quale ha prodotto e firmato una quarantina di spettacoli, fra cui Il comico e il suo contrario, Una voce per i Vangeli, Memorie di terra contadina, Cuore di fabbrica, Voci dai quartieri del mondo, Il canto dello spirito, Calcio, mistero senza fine bello, Scandalo quotidiano di un “normale” morire, Viaggio_ concerto per poesia, musica, umanità e silenzi. Ha attualmente in carico un Laboratorio teatrale con i rifugiati politici, promosso e sostenuto dall’Ufficio per Adulti e Politiche per l’Immigrazione del Comune di Milano.